ANCORA SU CRONACA E TUTELA DEL MINORE: IN PARTICOLARE SUL REATO DI DIFFAMAZIONE A MEZZO STAMPA

di

Giancarlo Mattiello

Il diritto alla libera manifestazione del pensiero ed all'informazione viene non di rado svolto dai media ed in particolare dagli organi di stampa attraverso l'esposizione e la divulgazione di fatti che possono risultare lesivi per l'onore e la reputazione di coloro che vengono rappresentati o sono anche solo indirettamente interessati dalla notizia diffusa.

L'incidenza negativa dell'attività giornalistica sull'onore e la reputazione altrui può ben integrare i presupposti soggettivi ed oggettivi del reato di diffamazione di cui all'art. 595 c.p..

Tuttavia la copertura costituzionale che riceve il diritto di cronaca per effetto dell'art. 21 della Carta Costituzionale costituisce un'importante scriminante che opera attraverso l'art. 51 del c.p..

La causa di giustificazione data dal legittimo esercizio di un diritto tuttavia non consente un esercizio arbitrario e illimitato della cronaca a discapito di un diritto egualmente tutelato dalla Costituzione. Il diritto all'onore, infatti, è un bene fondamentale che si contrappone alla attività giornalistica imponendo una regolamentazione entro cui contenere la libertà di cronaca.

La giurisprudenza dominante si è espressa in numerose occasioni pervenendo ad una tipizzazione.

I giudici della consulta hanno quindi fissato i tre requisiti di liceità della cronaca: 1) verità e verosimiglianza della notizia pubblicata; 2) la sussistenza di un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti oggetto della notizia; 3) la continenza della notizia, ossia una sua esposizione obbiettiva e serena.

L’informazione corretta quindi è quella esposta e redatta senza formule discorsive, molte delle quali recentemente individuate ed etichettate dalla giurisprudenza nell'ambito della prassi giornalistica - divulgativa. Si fa il caso del sottinteso sapiente, di accostamenti suggestionanti dei fatti con degradazione dell’immagine del soggetto rappresentato nel messaggio, di riferimenti attributivi di valutazioni astratte o generiche a soggetti negativamente valutati, di artificiose o sistematiche sproporzioni o eccessive drammatizzazioni o , ancora di celate insinuazioni (Corte di Cassazione n. 3679; vd anche n. 4285 e n. 8574 del 1998; nonché Cassazione Sez. V, 14 dicembre 2000).

Ciò non vuol dire che al giornalista è fatto divieto di utilizzare toni oggettivamente polemici, soprattutto se oggetto della notizia sono argomenti di grave interesse pubblico, nel limite in cui i termini adottati non siano sovrabbondanti rispetto al concetto da esprimere (Cassaz. Sez. III, 3 maggio 1985, Ruschini in Cassazione Penale, 1987, pg. 7).

Su queste basi si è svolta l'opera della giurisprudenza italiana tesa ad equilibrare gli interessi ed i diritti emergenti e confliggenti in ambito di pubblicazioni giornalistiche.

L'utilità sociale dell'informazione, laddove sussista un interesse pubblico ad apprendere la notizia, corrisponde alla verità oggettiva soprattutto, in relazione alla fonte dell'informazione, ed in senso dinamico ad una valutazione ed esposizione dei fatti conforme allo scopo divulgativo.

L'informazione pubblicata secondo i criteri poc'anzi rappresentati tende a prevalere sull'onore e la reputazione poiché in vero non lede l'integrità di questi diritti e, anche qualora lo faccia, trova giustificazione nell'art. 51 del c.p.

Ma i diritti di una cronaca legittimamente esercitata hanno un vasto campo di applicazione e nel caso concreto l'estensione delle esimenti può contrarsi secondo la reale dimensione soggettiva ed oggettiva della fattispecie considerata.

L'onore, infatti, e con lui il decoro della persona si identificano con un sentimento che ciascuno ha della propria dignità morale, disegnando una somma di valori comuni a tutti, che l'individuo si auto attribuisce. In senso oggettivo l'onore è quello della dignità fisica, intellettuale o sociale dell'individuo.

La reputazione, diversamente dall'onore, si identifica in linea generale con il senso di dignità personale che il gruppo sociale attribuisce all'individuo identificato con un particolare contesto storico (Cassazione Penale Sez. V, 1995, n. 201054).

In questa sede particolare attenzione si vuole dedicare al concetto di riservatezza e reputazione, interessi direttamente coinvolti per effetto di pubblicazioni diffamatorie, con riferimento alle persone minorenni.

La reputazione è l’interesse tutelato dall’art. 595 del c.p. nelle fattispecie di diffamazione e riceve una tutela speciale rispetto al diritto all’identità personale, la cui lesione costituisce invece un illecito civile quando l’effettiva identità viene distorta, alterata od offuscata anche sotto il profilo intellettuale, politico, religioso e sociale (Cassazione Sez. V, sent. n. 193494 del 1992).

Inoltre, l’art. 595, comma 3, prevede una aggravante speciale nei casi in cui qualcuno offenda la reputazione di una persona con il mezzo stampa.

Recentemente la dottrina ha esteso l’ambito di tutela coperto dall’at. 595 c.p. manifestando l’esigenza di tutelare anche coloro che, pur non avendo una "reputazione" alla stregua dell’interpretazione prevalente della Corte di Cassazione, vantano una particolare situazione contraddistinta da emarginazione sociale, dall’essere minore di età oppure incapace di intendere e volere. Dalla considerazione di queste situazioni deboli emerge la sussistenza di un onore e di una reputazione "minimi" della persona, autonomi rispetto alla categoria sociale di appartenenza, ai meriti professionali o personali che un individuo vanta in un determinato ambiente.

Questo minimum è un bene personale di ciascuno, scaturente dalla pari dignità sociale espressa dagli art. 2 e 3 della Costituzione: un diritto inviolabile dell’uomo.

Orbene, il minimo dell’onore, che nel reato di ingiuria viene considerato certo, basandosi su una media convenzionale in rapporto alla personalità dell’offeso e dell’offensore (Cassazione Sez. II, 1974, n. 129360), nel reato di diffamazione dovrebbe trovare tutela per tutte quelle persone che in ragione del loro status sono più esposte e sensibili alle aggressioni da parte della cronaca.

Allora sembra doveroso interrogarsi su quale essenziale sfera di reputazione abbia un individuo e quale grado di tutela abbiano le situazioni così dette deboli, tra cui quelle dei soggetti minorenni, laddove opera la scriminante dell’art. 21 Cost., che consente al cronista di produrre "… anche quando ne derivi una lesione all’altrui reputazione, ma l’esistenza di altri diritti di pari dignità costituzionale impone che vengano rispettati precisi limiti,…garantendo la trasparenza della vita sociale".

LA CRONACA GIUDIZIARIA PENALE

Tra le situazioni deboli che si vuole analizzare l’attenzione si sofferma su quella dei soggetti minorenni coinvolti da procedimenti penali.

La scriminante del diritto di cronaca si atteggia diversamente nel caso in cui sia oggetto della notizia una vicenda giudiziaria, incontrando ulteriori limiti qualora il procedimento riguardi dei minorenni.

Peraltro, quando la cronaca cade su di un argomento che interessa l’accertamento di un fatto costituente reato, la sussistenza del diritto di informazione torna ad essere messo in discussione.

Infatti, altri elementi informano ed operano in questa dimensione giuridica ed in primis la presunzione d’innocenza sancita dall’art. 27 della Costituzione.

La norma in esame vieta "affermazioni anticipatorie della condanna o pregiudizievoli della posizione dell’indagato e dell’imputato e lo tutela contro ogni indicazione che lo accrediti come colpevole" prima ancora che sia accertata processualmente ed in senso definitivo tale condizione.

Il giornalista deve sempre attenersi dunque alla presunta non colpevolezza dell’imputato (Cassazione Sez. V, 1991, n. 187194).

La presunzione di innocenza tuttavia non esclude a priori il diritto di cronaca.

La Cassazione ha infatti precisato che: "la verità della notizia mutuata da un provvedimento giudiziario sussiste ai fini della scriminante di cui all’art. 51 c.p., ogni qual volta essa sia fedele al contenuto del provvedimento stesso, senza alterazioni o travisamenti". Sotto il profilo oggettivo, pertanto, l’elemento limitativo della verità subisce una restrizione fino alla esatta corrispondenza tra quanto narrato e ciò che realmente è accaduto. Oltre a questa regola, infatti, lo scopo divulgativo non può sacrificare la presunzione di innocenza (Cassazione Sez. V, 23 febbraio 1998, n. 211487).

Vale bene osservare che la presunzione di innocenza non pone un ulteriore limite all’esercizio del diritto di cronaca, introducendo una maggiore tutela del bene "reputazione" di coloro che sono interessati da una vicenda giudiziale.

Piuttosto la prevalenza dell’interesse pubblico a conoscere anche di notizie relative alla commissione di reati e del loro accertamento da parte delle Autorità competenti arretra di fronte ad altri diritti costituzionalmente garantiti.

La maggiore rigorosità che viene richiesta al giornalista è quindi riferita alla veridicità della notizia, all’effettivo e più scrupoloso controllo da parte del giornalista della provenienza e della verosimiglianza della notizia, rimanendo gli stessi i motivi dell’interesse pubblico e della continenza della notizia.

Questa dovrà essere fornita dal giornalista con una attenta esposizione che nella forma e nel linguaggio si risolva non nell’affermazione di una verità certa ma nella rappresentazione anche in chiave problematica dei fatti (Cassazione Sez. V, 23 febbraio 1998, n. 211487).

La pertinenza della notizia in tutti i casi rappresentati deve essere osservata dal giornalista anche quando raccontando di fatti giudiziari l’attenzione cada su persone diverse da quelle direttamente coinvolte dall’attività processuale, cioè l’indagato o l’imputato, rendendo informazioni sul loro conto.

In tali casi profili di approfondimento vanno svolti in ordine all’interesse pubblico a conoscere della notizia che potrebbe essere del tutto marginale o addirittura estraneo all’oggetto del procedimento al quale viene riferita.

CRONACA GIUDIZIARIA ED AMBITO DI TUTELA DELLA REPUTAZIONE DEL MINORE

L’argomento delineato nei paragrafi che precedono viene arricchito dalla giurisprudenza della Suprema Corte relativamente a notizie che riguardano minorenni (Cassazione Sez. V, 18 ottobre 2001, n. 37667).

La Cassazione è intervenuta con la sentenza in esame a confermare la pronuncia dei giudici che in appello avevano assolto il direttore di una rivista dall’imputazione di diffamazione in danno di un minore riformando la pronuncia di primo grado che al contrario individuava negli artt. 114, comma 6, c.p.p., e 13, comma 1, D.P.R. n. 448 del 1988 e 684 c.p. un limite insuperabile per l’esercizio del diritto di cronaca allorquando la notizia riguardasse un minore.

La Corte riconoscendo fondamento alle difese del ricorrente è pervenuta alla seguente decisione: "Il diritto di cronaca può essere legittimamente esercitato anche quando la notizia riguardi soggetti minorenni, purché siano rispettati i limiti dell’interesse pubblico, della verità e della continenza. Le norme che stabiliscono il divieto di pubblicazione delle generalità, delle immagini e comunque di notizie idonee a consentire l’identificazione di un minore coinvolto in un procedimento penale (artt. 114 c.p.p.; art. 13 D.P.R. n.448/1988) non costituiscono un limite insuperabile all’esercizio del diritto di cronaca, in quanto tali disposizioni proteggono il diritto all’immagine del minore.

Deve escludersi che la violazione del divieto di pubblicazione, sanzionata autonomamente dall’art. 684 c.p., integri automaticamente anche il delitto di diffamazione a mezzo stampa, che si fonda su presupposti diversi".

Dalle motivazioni della Corte Suprema emerge una chiara distinzione tra le due norme considerate sotto il profilo oggettivo.

L’art. 114, comma 6, c.p.p. dispone un divieto di pubblicazione delle generalità e dell’immagine dei minorenni che siano testimoni, persone offese o danneggiati da reato fino al raggiungimento della maggiore età.

Invece l’art. 13 del D.P.R. n. 448/1988 — disposizioni del procedimento penale a carico dei minorenni — analogamente vieta la pubblicazione e la divulgazione, con qualsiasi mezzo, di notizie idonee a consentire l’identificazione del minorenne a qualsiasi titolo coinvolto nel procedimento.

Dal contenuto delle norma in esame sembra legittimo pensare che il diritto di cronaca incontri maggiori limiti nei confronti dei soggetti minorenni, non essendo più sufficienti a giustificarne l’esercizio il rispetto degli assodati criteri di veridicità, continenza della notizia e interesse pubblico all’informazione.

Fondata è l’esigenza di tutelare la dignità di alcuni soggetti particolarmente esposti e maggiormente sensibili rispetto alla forza divulgativa di un media ritenendo, che nel caso in cui la notizia sia riferita a soggetti minori interessati direttamente o indirettamente dalla vicenda giudiziaria, sussista un avanzamento della tutela.

Una tutela approntata in questo senso dovrebbe atteggiarsi secondo il grado di coinvolgimento dei soggetti minorenni nella vicenda giudiziaria, offrendo anche soluzioni diverse ma proporzionate al rispetto della persona del minore.

Nell’ambito del processo penale minorile infatti l’art. 114, comma 6, c.p.p. e l’art. 13 del D.P.R. n. 448 del 1988 vietano la pubblicazione e la divulgazione attraverso qualsiasi mezzo delle generalità, di immagini e notizie che siano idonee a identificare la persona del minore coinvolto nel processo penale, fatta eccezione per i casi in cui sia il Tribunale dei Minorenni o lo stesso minore maggiore dei sedici anni ad autorizzare la pubblicazione.

La Cassazione con la sentenza in esame ha precisato quindi in materia l’ambito di applicazione della normativa sostenendo: "… il divieto di pubblicazione non riguarda soltanto i procedimenti celebrati dinanzi al Tribunale dei Minorenni ", ma anche quelli in cui il minore rivesta un ruolo in qualsiasi vicenda giudiziaria.

In altri termini la Cassazione spiega come la persona del minore, che gode della tutela realizzata dal divieto di pubblicazione e divulgazione della sua identità, non sia solo quella del soggetto sottoposto ad indagine o ad imputazione di reato penale, ma sia una figura estesa fino a comprendere quella di un minore che sia persona offesa, danneggiata o testimonio in qualsiasi procedimento penale.

La possibile individuazione del minore attraverso la notizia, se pure soltanto indiretta, amplia pertanto sotto un profilo oggettivo l’ambito di operatività del divieto opposto alla pubblicazione.

Sulla scorta di quanto argomentato, ogni notizia è dunque astrattamente idonea a permettere la identificazione o la riconoscibilità della persona minore e, pertanto, è automaticamente suscettibile di incorrere nel divieto.

In questo senso la normativa in esame viene a configurare in linea logico giuridica un reato di pericolo, prevenendo la pericolosità insita nella divulgazione o pubblicazione della notizia, anche di quella che marginalmente contiene informazioni relative al minore.

Vale bene rammentare in questa sede che la categoria dei reati di pericolo fa generalmente riferimento ad ipotesi in cui la norma attribuisca un maggior grado di probabilità empirica in relazione alla commissione di un comportamento antigiuridico a determinati soggetti qualificati dalla particolare attività da loro svolta o dal possesso ed utilizzo di determinati strumenti.

In altre fattispecie il legislatore è venuto a costruire reati di pericolo così detti astratti in cui la condotta punita si presume offensiva già in partenza alla stregua di una valutazione operata aprioristicamente dallo stesso legislatore.

Nella fattispecie in esame la pericolosità prevenuta dalla norma ha le proprie radici sia nella potenziale capacità lesiva del soggetto che svolge attività giornalistica, ma soprattutto nella potenzialità lesiva dello strumento di comunicazione e diffusione, quale ad esempio è la stampa, di per sé idonea a dare ampio eco alla lesione derivata dalla condotta antigiuridica.

Con riferimento all’assolutezza del divieto di pubblicazione e divulgazione emergente dalla lettura data dalla Suprema Corte al combinato disposto degli artt. 114, comma 6, e 13 del D.P.R. n. 448 del 1998, sorge peraltro un legittimo dubbio: se non si debba parlare piuttosto di reato di sospetto, categoria giuridica che travalica il principio di offensività e che per questo è vista con molta perplessità dalla dottrina.

Il rilievo sembra superabile comunque laddove si consideri che l’attività giornalistica ed in particolare la libertà di stampa ricevono una copertura costituzionale (art. 21 Cost.) che non ammette una presunzione di pericolosità dell’agente così elevata come farebbe intendere il divieto assoluto di pubblicazione in argomento.

Il divieto imposto dalla normativa di riferimento ha comunque toni di assolutezza che non lasciano dubbi circa la volontà di anticipare la tutela delle persone minori rispetto a pubblicazioni potenzialmente lesive.

La maggiore apprezzabilità del bene protetto si pone severamente come limite all’attività di informazione e manifestazione del pensiero, scongiurando in questo modo ogni possibile aggressione del minore che si risolva in un etichettamento.

Il rischio così prevenuto dalla norma è particolarmente evidente quando il minore partecipi al processo come imputato ed è occulto qualora il minore sia vittima del reato o persona offesa, o comunque addirittura coinvolto in virtù di una relazione con i soggetti che partecipano al processo.

La prevenzione delle violazione realizzata dal divieto nei termini anzidetti è tradotta nell’ordinamento dall’art. 684 c.p. in tema di pubblicazioni arbitraria di atti di un procedimento penale.

In ottemperanza a quest’ultima norma il Tribunale di Lecce ha condannato il direttore di un quotidiano in virtù della responsabilità a lui ascrivibile ex art. 57 c.p. per avere diffuso la notizia dell’arresto di un minorenne consentendone la conseguente identificazione. Altresì il direttore del giornale veniva condannato per reato di diffamazione a mezzo stampa (Tribunale di Lecce, 22 febbraio 1993, Bruno, in Foro Italiano, 1994, II, 658).

Anzi il Tribunale di Lecce aveva sostenuto la inesistenza del diritto di cronaca nel caso in cui la notizia pubblicata riguardasse un minorenne per difetto assoluto dell’interesse pubblico alla conoscenza della notizia "assolutamente secondario ed anzi irrilevante".

Spiega, infatti, il giudice di merito di Lecce la distinzione tra un soggetto diffamato maggiore di età, nei confronti del quale assume rilievo per l’interesse pubblico la notizia circa la commissione di un fatto grave, ad esempio il reato di rapina, e un soggetto minorenne nei confronti del quale tanto è più grave l’imputazione di reato posto a suo carico maggiore è il pericolo a cui viene esposto il bene tutelato, cioè la identità, la reputazione e la riservatezza del minore stesso. Quindi, nella stessa misura in cui aumenti il rischio per la persona del minore parimenti deve diminuire la sfera di esercizio del diritto di cronaca.

L’orientamento di merito ora richiamato sembra smentito dalla sentenza n. 37667/2001 della Cassazione che invece sostiene la sussistenza del diritto di cronaca escludendo l’applicazione delle norme sul procedimento minorile.

Un chiarimento all’apparente contrasto emerge analizzando i fatti in oggetto alle due decisioni prese in esame. Infatti, nelle due vicende affrontate dai giudici di merito e da quelli della Cassazione si rileva una diversa posizione del minore rispetto al procedimento penale cui fanno riferimento le norme in discussione.

Ebbene, se il minorenne risulta coinvolto in un procedimento penale a vario titolo (imputato, indagato, testimone, persona offesa o danneggiato dal reato) interverrà il divieto di pubblicazione degli atti espresso dall’art. 114, comma 6, c.p.p., dall’art. 13 del D.P.R. n. 448/1988 e dall’art. 684 c.p. In tutti i casi previsti dalle norme richiamate il diritto di cronaca viene radicalmente escluso dal legislatore che in relazione ai minori ha negato a determinati fatti la possibilità di essere contenuti in una notizia pubblicata.

Nelle ipotesi di non ammissibilità di un diritto di cronaca, quindi, ogni ulteriore discussione o valutazione sulla sussistenza o meno dei requisiti di veridicità, rilevanza pubblica e pertinenza della notizia divengono ultronei e superflui.

Peraltro, il diritto di cronaca pur essendo elevato a principio fondamentale nella Costituzione subisce indiscutibilmente tale compressione poiché si deve ritenere prevalente, per effetto di un giudizio di bilanciamento tra beni configgenti, la tutela della personalità del minore considerata nel suo divenire.

La Costituzione in questo senso fa carico alla Repubblica di promuovere la tutela preventiva di pregiudizi derivanti alla sfera personale e formativa del minore da notizie che ne consentano la identificazione quale soggetto parte di un procedimento penale.

L’art. 31, comma 2, Cost., infatti, prevede che "la Repubblica protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tele scopo".

Diversa invece appare l’ipotesi in cui il minore sia soltanto indirettamente coinvolto nel procedimento penale e cioè non come soggetto che partecipa al processo in qualità di indagato, imputato, persona offesa danneggiato.

Nella vicenda sottoposta a decisione della Suprema Corte era appunto stata dedotta la consumazione del reato di diffamazione ai danni di una minore a cui era stata attribuita la paternità di un noto magistrato come frutto di una relazione avuta con una donna da lui indagata. Dalla vicenda era poi scaturita una imputazione del magistrato per corruzione e la notizia che la minore fosse il risultato del reato consumato.

Sulla questione si è avuto modo di apprendere l’opinione della Corte di Cassazione che ha escluso qualsiasi limitazione del diritto di cronaca in considerazione dell’art. 114 c.p.p. e dell’art. 13 D.P.R. n. 448/1988 dovendo ritenersi dette norme applicabili solo quando il minore sia "comunque coinvolto nel procedimento".

La Corte precisa come le norme in esame predispongano la tutela dell’immagine del minore, che potrebbe essere pregiudicata dalla pubblicazione dei suoi dati personali: quindi "Con le opportune cautele è possibile raccontare anche fatti che attengono a soggetti minorenni, a condizione ovviamente che i fatti siano veri e che venga rispettata la c.d. continenza, ovvero la sobrietà nel riportare notizie".

Tuttavia le motivazioni dei giudici della Cassazione appaiono insufficienti e contraddittorie laddove sostengono la valida applicazione del divieto di pubblicazione per tutte quelle notizie che consentano la individuazione delle generalità o dell’immagine del minore e al contempo il libero esercizio del diritto di cronaca.

A ben vedere la sentenza in questione non risolve le situazioni di contrasto tra i due diritti, superando il bilanciamento e risolvendo preliminarmente la questione prospettata con il solo rilievo che le generalità e l’immagine della minore non erano state diffuse nel caso di specie.

La Corte, quindi, soffermandosi sull’elemento della veridicità della notizia ha osservato che il giornalista non aveva motivato la notizia attraverso valutazioni personali o giudizi sulla persona del minore, ma si era limitato a riportare il contenuto di alcuni manifestini, distribuiti nel palazzo di giustizia di Milano, insinuante il possibile legame parentale del minore con il magistrato.

Sul giudizio espresso dalla Corte è tuttavia legittimo avanzare alcuni dubbi.

In primo luogo la Corte ha posto un’affermazione di principio concernente la riabilitazione del diritto di cronaca rispetto ai divieti posti alla pubblicazione dalla normativa penale, omettendo tuttavia di precisare l’ambito in cui opera la libera manifestazione a confronto delle tutele poste a favore della persona minorenne.

Non vi è dubbio infatti per chi scrive, che la normativa penale ponga un avanzamento del grado di tutela dell’immagine del minore comprimendo fortemente il diritto di cronaca, fino quasi ad escluderlo, in tutti i casi in cui il minore sia "comunque" coinvolto nel procedimento, ossia anche quando venga menzionato o considerato dalla notizia o dal processo stesso a cui viene riferito in modo del tutto indiretto.

Emerge poi dalla sentenza analizzata che la Suprema Corte ha ritenuto legittima una pubblicazione operata in ottemperanza ai criteri di verità, rilevanza pubblica della notizia e continenza, ma non si è sforzata di approfondire l’analisi. Ciò facendo, infatti, i giudici avrebbero constatato che il contenuto dei manifestini, riportato presso che fedelmente dal giornalista, celava in sé il pericolo di identificazione del minore ed il pregiudizio della sua personalità non dovendo rilevare la corrispondenza dell’articolo ai requisiti di correttezza della pubblicazione.

In vero, la Cassazione avrebbe dovuto denunciare la pubblicazione, non tanto per il suo contenuto diffamatorio, tema oggetto del prossimo paragrafo, quanto per la messa in pericolo ed il rischio cui si era esposta la reputazione del minore con la diffusione della notizia negli ambienti del palazzo di giustizia e poi solo in un secondo momento sugli organi di stampa.

In buona sostanza il pericolo insito nella vicenda del magistrato di Milano ha ricevuto un maggiore eco attraverso la pubblicazione a mezzo stampa aumentando il rischio di identificabilità ed oggensività della reputazione del minorenne indirettamente e comunque coinvolto.

Rimane fuori, pertanto, dall’attuale analisi della Suprema Corte l’ipotesi di violazione dell’immagine del minorenne, preveduto e prevenuto dagli artt. 114 c.p.p., 13 D.P.R. n. 448/1988 e 684 c.p., commessa attraverso una divulgazione de relato di notizia di per sé pericolosa, per la reputazione del soggetto minore potenzialmente identificabile, ed aggravata dall’eco dell’ampia diffusione ottenuta con il mezzo della stampa.

Per quanto in passato ritenuto dalla stessa Suprema Corte "Ne consegue che non può rientrare nell’esercizio del diritto di cronaca la pubblicazione, anche per riassunto o a titolo di informazione, di atti per i quali la stessa è vietata e che in nessun caso può giustificare l’attacco alla reputazione altrui" (Cassazione Sez. V, 1989, n. 183403).

In questo senso la violazione dell’immagine del minore è prevenuta dalla normativa in esame attraverso la configurazione da parte del legislatore di un reato di pericolo in concreto riscontrabile nella esperienza empirica in forza del solo potenziale lesivo attribuibile allo strumento di diffusione.

Da ultimo, in proposito, si deve segnalare l’orientamento del giudice di merito di Bolzano il quale, nel caso di pubblicazione di notizie concernenti la condizione di sieropositività e tossicodipendenza di una ragazza, ha ritenuto che, poiché si trattava di dati personali, difettavano i requisiti scriminanti dell’interesse pubblico e della continenza, ed ha pertanto riconosciuto la responsabilità penale del giornalista e del direttore del quotidiano sul quale era stato pubblicato l’articolo, la diffusione a mezzo stampa del quale, in quanto gravemente lesivo della dignità personale e della reputazione della ragazza, aveva prodotto nella giovane "uno stato di prostrazione psicofisica" qualificabile come danno biologico (Tribunale di Bolzano 18 marzo 1998, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 1998, pg. 616).

 

DIFFERENZE TRA IL REATO DI DIFFAMAZIONE E L'ART. 684 C.P.

Riguardo ai reati applicabili nel caso in cui il giornalista o il direttore di giornale per effetto dell’art. 57 c.p. violino il divieto di pubblicazione di notizie relative alla identità od immagine di minori altro è il profilo che deve essere analizzato.

L’art. 684 c.p. rappresenta una fattispecie autonoma dalla quale scaturisce una sanzione per la pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale.

Sotto il profilo oggettivo emerge dal contenuto di questa norma "l’interesse dello Stato al normale funzionamento dell’attività giudiziaria mediante la segretezza della fase istruttoria al fine di impedire l’inquinamento della prova o la fuga dei compartecipi. E’ pertanto da escludere che la norma si proponga la tutela del diritto dell’imputato alla presunzione di innocenza" (Cassazione Sez. V, 1981, n. 148098).

Con la sentenza n. 37667 del 2001 la Sezione Quinta della Cassazione ha ulteriormente distinto l’ambito di operatività dell’art. 684 c.p. rispetto alla figura del delitto di diffamazione previsto dall’art. 595 c.p., che richiederebbe quindi presupposti diversi.

L’intenzione assolta dalla Corte di Cassazione nella formulazione del principio distintivo in esame era appunto quella di non dare effetto automatico al reato di diffamazione nelle imputazioni per violazione dell’art. 684 c.p..

Infatti, non è del tutto scontato che la reputazione di una persona ed in particolare di un minore venga sempre offeso per effetto di divulgazione di notizie che ne consentano l’identificazione attraverso un coinvolgimento in una procedura penale.

Con riferimento al reato di diffamazione si deve osservare che l’offesa non deve necessariamente concretizzarsi nella diminuzione della reputazione altrui. Il reato di cui all’art. 595 c.p. pertanto è configurabile come un reato di pericolo in cui è sufficiente che la divulgazione sia idonea ad arrecare offesa all’altrui reputazione.

In ordine all’applicazione dell’art. 595 c.p. e dell’art. 684 del c.p alla medesima fattispecie criminosa si manifesta la possibilità di un concorso di norme il quale tuttavia risulta soltanto apparente.

Infatti, in virtù dell’art. 15 del c.p. è in linea di principio individuabile un rapporto tra genere e specie delle due disposizioni del Codice Penale che privilegerebbe la norma avente carattere speciale.

A ben vedere però nel caso prospettato non sussiste l’assorbimento della disciplina generale poiché l’art. 684 c.p. copre delle finalità di tutela di più beni giuridici quali il segreto degli atti processuali, della serenità ed indipendenza del giudice e della riservatezza e reputazione delle persone coinvolte nel processo (Corte Costituzionale, ordinanza 3 dicembre 1987, n. 457, in Giurisprudenza Costituzionale, 1987, I, pg. 3018). Sicché per poter operare il principio di specialità la violazione commessa dovrebbe integrare una offesa plurima ai danni di ciascuno dei beni tutelati dalla norma in questione.

In questa ultima ipotesi l’art. 595 c.p., prevedendo un trattamento sanzionatorio più severo nei confronti di una condotta maggiormente offensiva, avrebbe prevalenza, ma il reato verrebbe diversamente sanzionato due volte contravvenendo al principio del ne bis in idem.

LA PRIMARIA TUTELA DELLA PERSONALITA’ DEL MINORE: UN RINVIO

La sentenza n. 37667 del 2001 della Corte di Cassazione si pone per alcuni degli aspetti descritti sopra in stridente contrasto con tutti gli orientamenti istituzionali e dottrinali tesi a rafforzare la tutela dell’immagine e della riservatezza del minore, in generale della sua personalità, dall’esercizio anche lecito del diritto di cronaca giudiziaria.

Pertanto, brevi cenni di richiamo è opportuno fare in ordine alla primarietà del diritto del minore ed alla sua tutela relativamente al problema della cronaca e della riservatezza e dignità del minore, rinviando ad altra trattazione l’ampia discussione sul tema.

L’orientamento teso a privilegiare la persona e la reputazione del minore muove da una serie di pronunce della Corte Costituzionale (ex plurimis Corte Costituzionale del 1981 n. 16).

Il Giudice della Legittimità ha da tempo affermato che "l'attività del giornalista deve conciliarsi con il rispetto della personalità e, dunque, non è contestabile che la tutela dei minori postuli una particolare disciplina con riguardo alla formazione della personalità".

Questa affermazione trova recentemente riscontro in vari sviluppi di matrice internazionale ed istituzionale.

L’art. 8 della Convenzione di New York sancisce, infatti, il diritto del minore alla salvaguardia della propria personalità, perfezionando con l’art. 16 una particolare tutela preventiva da ogni tipo di interferenza "illegale" della sua sfera personale.

Con riferimento all’informazione avente ad oggetto soggetti "deboli" quali i minori, anche la Carta di Treviso detta una precisa disciplina: "il rispetto della persona del minore , sia come soggetto agente, sia come vittima di reato, richiede il diritto all'anonimato nei suoi confronti , il che implica la rinuncia a pubblicare elementi che anche indirettamente possano comunque portare alla sua identificazione".

In questa ed in altre previsioni della Carta di Treviso emerge un vero e proprio diritto all’anonimato del minore, il quale pertanto deve essere protetto da qualsiasi effetto lesivo determinato dalla informazione.

Riemergono sul punto i profili relativi alla offensività insita nella eco determinata da pubblicazioni di notizie abusive della personalità del minore ma oramai già da altri precedentemente pubblicate.

L’effetto eco di una nuova divulgazione è potenzialmente lesiva della reputazione e della dignità del minore anche quando una notizia riguardante una vicenda giudiziaria sia già di dominio pubblico o venga autorizzata dal genitore, oppure ancora la cronaca giudiziaria, per quanto obbiettiva e rigorosamente ripetitiva dei fatti, riporti comunque un elemento della vicenda automaticamente pregiudizievole per il soggetto minorenne.

In tutte queste ipotesi ogni nuova informazione prodotta a riguardo induce a colpire a ripetizione il minore già precedentemente offeso dalla diffusione della notizia o comunque danneggiato dalla vicenda in cui è coinvolto.

Avverso tali distorsioni, che sfuggono la disciplina normativa, sembra operare l’attività di tutela svolta dall’Autorità Garante per il Trattamento dei dati personali, all’impulso del quale è dovuto il nuovo regolamento deontologico dei giornalisti, intervenuto anch’esso per disciplinare con attenzione le informazioni riguardanti i minori (art. 7 Cod. Deontologico).

Il Garante è più volte intervenuto esercitando i poteri attribuitigli con la Legge 675 del 1996 a moderare se non addirittura inibire alcune condotte ritenute eccedenti l’interesse pubblico della notizia o in ogni caso dannose per la personalità del minore oggetto della pubblicazione (per tutte si veda Garante della Privacy, provvedimento del 2 luglio 1997).

Recentemente il Garante ha inibito alcune pubblicazioni destituendo di fondamento il consenso ricevuto dal giornalista dai genitori del minore o il principio di notorietà della persona oggetto dell’informazione diffusa, oppure ancora la spettacolarizzazione di alcune pubblicazioni.

La strada aperta al controllo ed alla vigilanza fa quindi oggi del Garante uno strumento istituzionale a tutela dei soggetti deboli ed esposti agli abusi dell’informazione, attraverso il quale è possibile dare effetto concreto alla primarietà del diritto del minore di volta in volta posto a confronto con gli altri diritti fondamentali della persona.

Roma, gennaio 2003

 

NOTE
1. Fondamentale in dottrina cfr. NUVOLONE, Il diritto penale della stampa, Milano, 1971.
2. Si veda in dottrina: ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte speciale, vol. I, XIV ed., a cura di Conti, Milano, 2002, pg. 194; SUMMARUGA, sub art. 595, in Codice Penale commentato, Parte speciale, a cura di Marinucci-Dolcini, Milano, 1999, pg. 3049 ss.; SCUTELLARI, sub art. 595, in Commentario breve al Codice Penale, a cura di Crespi-Zuccalˆ, Torino, 1999, pg. 1639 ss.
3. Cfr. POLVANI, La diffamazione a mezzo stampa, Padova, 1998, pg. 23 ss.
4. Ancora POLVANI, op. cit., pg. 97; cfr. pure NOTARO, Diffamazione a mezzo stampa e limiti del diritto di cronaca, in Diritto penale processuale, 2001, pg. 1012.
5. Sulla distinzione tra persona offesa dal reato e danneggiato vd. FIANDACA-MUSCO, Diritto Penale, Parte Generale, IV ed., Bologna, 2001, pg. 151 ss.
6. Sui reati di pericolo vd. FIANDACA-MUSCO, op. cit., pg. 629.
7. Cfr. SCUTELLARI, sub art. 595,Commentario breve al codice penale, a cure di Crespi-Stella-Zuccalˆ, Torino, 1999, pg. 1643.
8. Cfr. C. FOLADORE, Diffamazione a mezzo stampa e tutela dei minori, in Famiglia e Diritto, 3, 2002, pg. 264.
9. Cfr. G. SERGIO, Libertˆ d'informazione e tutela dei soggetti deboli. La tutela del minore , l'attuazione del diritto di uguaglianza, la garanzia della dignitˆ personale, in Processo civile minorile, Quaderni del Consiglio Superiore della magistratura n. 109, 200, 735.
10. In questo sito dello stesso autore, Cronaca e riservatezza del minore, 2001.
11. L'art.16 della Convenzione di New York prevede: "nessun fanciullo sarˆ oggetto di interferenze arbitrarie o illegali nella sua vita privata, nella sua famiglia, nel suo domicilio e corrispondenza e neppure di affronti illegali al suo onore e reputazione".