Garante per la protezione
    dei dati personali

Comunicato Stampa

NON SIAMO CONTRARI A TRACCIARE I PASSEGGERI INEUROPA, PRIVACY E SICUREZZA NON SONO IN CONTRADDIZIONE

Interventodi Antonello Soro, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali

(HuffingtonPost, 14 gennaio 2014)

 

"LaCostituzione esclude il perseguimento dello scopo della sicurezza assoluta aprezzo dell'annullamento della libertà". Dopo i fatti di Parigi dovremmoriflettere su questa affermazione, contenuta nella sentenza della Cortecostituzionale tedesca sulla Rasterfahndung (controlli di polizia massivi perfini antiterrorismo, intensificati dopo l'11 settembre). Dovremmo rifletterciper evitare che la doverosa condanna del terrorismo degeneri in quelle pulsioniautoritarie che carsicamente riemergono, ogniqualvolta la violenzafondamentalista torna a ricordarci la vulnerabilità delle nostre democrazie.Che sono e restano tali solo se - ricordava Ahron Barak - sanno lottare con unamano dietro la schiena: senza rinunciare, cioè, alle garanzie e ai principi sucui si fondano, distinguendosi così davvero dai loro nemici. 

 

Cosìdopo il 7 gennaio, va evitato il rischio di tornare a spostare il baricentrodel rapporto libertà-sicurezza (che dopo il Datagate era tornato in equilibrio)unicamente verso la seconda. O meglio, verso un'idea tirannica di sicurezza,come antagonista dei diritti. La tutela delle libertà è invece, essa stessa, ilprimo, vero modo d'intendere la sicurezza in uno Stato di diritto (e non in unoStato di prevenzione). E questo è tanto più importante per un ordinamento,quale quello europeo, che dopo le rivelazioni di Snowden ha rappresentato,sempre di più, un modello cui tendere (e cui gli stessi Usa tendono), nelladisciplina del rapporto tra privacy e intelligence; libertà e sorveglianza;cittadino e autorità.

 

È figliadi questa sensibilità la sentenza di maggio con cui la Corte suprema americanaha esteso alla perquisizione dei cellulari le tradizionali garanzie previsteper le misure limitative della libertà personale, affermando che il costo dellaprivacy è il valore della democrazia. Ed è una pronuncia che non a caso hagrandi affinità con le due coeve sentenze della Corte di giustizia su dataretention e oblio.

 

Questetre pronunce hanno in comune la qualificazione della protezione dati comeprincipale presupposto di libertà nell'era digitale: diritto d'"inviolatapersonalità" senza il quale ogni democrazia rischia di cedere alla logicatotalitaria dell'uomo di vetro e la rete di ridursi a spazio anemico doveglobalizzare non le libertà ma l'indifferenza ai diritti. È da qui, allora,dalla centralità dell'habeas data nelle nostre democrazie che deve partirel'Europa per combattere il terrorismo e ogni fondamentalismo senza rinnegare sestessa e la propria identità.

 

Maovviamente, questa difesa della privacy è tutt'altro che una difesa"suicida": è, all'opposto, la sola vera strategia efficace perproteggerci dalle minacce cibernetiche e da un terrorismo che sempre più sialimenta della rete per reclutare nuovi adepti, promuovere il fondamentalismo el'intolleranza, passare dallo spionaggio informatico alla concretissima, reale,violenza delle stragi e degli attentati. La privacy è, in questo senso, lamigliore sintesi di libertà e sicurezza, perché solo proteggendo i nostri datipossiamo proteggere le nostre democrazie.

 

Unacongerie ingestibile di dati, come quella prodotta dalla sorveglianza di massae dalla pesca a strascico nelle vite degli altri, è infatti del tutto inutilealle indagini in quanto priva di reale efficacia selettiva e impossibile daanalizzare come richiederebbero le esigenze investigative. Non solo: accrescela nostra vulnerabilità e le fonti di rischio, perché rende le nostre banchedati maggiormente appetibili per attacchi dimostrativi o per lo spionaggiocibernetico, soprattutto alla luce dell'evoluzione subita dal crimine informatico,realizzato sempre più in forma organizzata e dunque più temibile perché ingrado di arrivare davvero "al cuore dello Stato".

 

Un'efficaceazione di prevenzione del terrorismo deve dunque selezionare (con intelligenza,appunto) gli obiettivi "sensibili" in funzione del loro grado dirischio e fare della protezione dati una condizione strutturale dellacyber-security. E questo tanto più adesso, quando l'azione terrorista, sempremeno "spersonalizzante", concentra i suoi obiettivi non più sulleistituzioni-simbolo (quale era ad esempio il World trade center) ma sullepersone-simbolo (i redattori di Charlie, che personificano il rapportomedia-opinione pubblica), selezionate in base a un'accorta profilazione delsoggetto. Tutt'altro che un ostacolo, la privacy è semmai un presupposto per lacondivisione e l'efficiente gestione di informazioni tra autorità investigativedei vari paesi, in un quadro di garanzie e di adeguata selezione dei datirealmente utili ai fini d'indagine. Per questo non siamo contrari a un Pnreuropeo che preveda tempi di conservazione dei dati ragionevoli e proporzionatialle esigenze delle indagini per gravi reati.

 

E proprio oggi, di fronte allariproposizione di un'anacronistica chiusura dello spazio Schengen, dovremmoricordare che un'adeguata legislazione sulla protezione dati è stata sempre lacondizione posta ai vari Governi (il nostro per primo) per farvi parte. Adimostrazione, dunque, della sinergia (tutt'altro che antagonismo!) traprotezione dati e sicurezza, tanto più in un mondo che, per fortuna, ha vistocadere ormai ogni frontiera.