CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE

Sentenza n. 16236 del 9 luglio 2010


(Sezione Terza Civile, Presidente M. R. Morelli, Relatore B. Spagna Musso)

 

DIFFAMAZIONE A MEZZO STAMPA - DIRITTO DI CRONACA - GIORNALISMO D'INCHIESTA - LIMITE DELLA VERITA' OGGETTIVA DELLA NOTIZIA - CONNOTAZIONE PARTICOLARE

 

In tema di diritto di cronaca e di critica, la Corte (in riferimento a un articolo originato da campioni di th consegnati a laboratori di analisi che avevano attestato trattarsi di liquido organico umano) ha precisato che, quando si tratta del cosiddetto giornalismo di inchiesta - il quale provvede ad attingere direttamente linformazione – gli obblighi del giornalista, connessi al generale limite della verit oggettiva della notizia pubblicata, si sostanziano nel rispetto dei principi etici e deontologici dellattivit professionale, quali risultano dalla relativa legge (art. 2 della legge n. 69 del 1963) e dalla Carta dei doveri del giornalista, ai quali si aggiunge il rispetto della riservatezza, secondo quanto stabilito dalle regole deontologiche in tema di trattamento dei dati personali; fermi restando, comunque, i limiti generali costituti dallinteresse pubblico alla conoscenza del fatto e la correttezza formale dellesposizione.

 

 

INFORMAZIONE DI INCHIESTA E DIFFAMAZIONE

 

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole



 

Motivi della decisione





Con i primi due motivi di ricorso si deduce violazione dellart. 21 Cost. nonch degli 51 e 595 c.p., e relativo vizio di motivazione, in ordine alla sussistenza della scriminante della verit e in ordine alla sussistenza della scriminante della continenza espressiva.

Si afferma in proposito che la sentenza impugnata non ha colto che il fatto narrato frutto di una dolosa artefazione della realt per poter additare a pubblico scandalo e disprezzo la ricorrente... e che allorigine della vicenda vi un evidente dolo contrattuale...; inoltre si afferma che il servizio giornalistico per cui causa rappresenta un autentico paradigma di illiceit alla luce delle regole scolpite dal decalogo; che nellintero servizio vi una terminologia che mira a suggestionare il lettore per inibirne le capacit critiche e che la sentenza impugnata ha del tutto ignorato il basilare principio di proporzionalit tra la critica e i fatti narrati.

Il quotidiano non ha riferito o commentato i fatti, li ha materialmente posti in essere al fine di creare clamore e scalpore.



Con il terzo motivo si deduce difetto di motivazione in ordine alla valutazione dei risultati della consulenza di ufficio.

Il ricorso non merita accoglimento in relazione a tutte le suesposte censure.



Deve, innanzitutto, rilevarsi che nel caso di specie si verte in tema di c.d. giornalismo di inchiesta, espressione pi alta e nobile dellattivit di informazione; con tale tipologia di giornalismo, infatti, maggiormente si realizza il fine di detta attivit quale prestazione di lavoro intellettuale volta alla raccolta, al commento e alla elaborazione di notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli organi di informazione, per sollecitare i cittadini ad acquisire conoscenza di tematiche meritevoli, per il rilievo pubblico delle stesse.



Con il giornalismo di inchiesta lacquisizione della notizia avviene autonomamente, direttamente e attivamente da parte del professionista e non mediata da fonti esterne mediante la ricezione passiva di informazioni.

Il rilievo del giornalismo di inchiesta, anchesso ovviamente espressione del diritto insopprimibile e fondamentale della libert di informazione e di critica, corollario dellart. 21 Cost. (secondo cui tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione) nonch dellart. 2 della legge professionale n. 69/1963 (dedicato alla deontologia del giornalista nellambito dellOrdinamento della professione di giornalista), stato, tra laltro, riconosciuto dalla Corte di Strasburgo (che, in particolare, con sentenza 27.3.1996 ha riconosciuto il diritto di liberamente ricercare le notizie sia lesigenza di protezione delle fonti giornalistiche) e dalla Carta dei doveri del giornalista (firmata a Roma l8 luglio 1993 dalla Fnsi e dallOrdine nazionale dei giornalisti) che, tra i principi ispiratori, prevede testualmente che il giornalista deve rispettare, coltivare e difendere il diritto allinformazione di tutti i cittadini; per questo ricerca e diffonde ogni notizia o informazione che ritenga di pubblico interesse, nel rispetto della verit e con la maggiore accuratezza possibile.

Il giornalista ricerca e diffonde le notizie di pubblico interesse nonostante gli ostacoli che possono essere frapposti al suo lavoro e compie ogni sforzo per garantire al cittadino la conoscenza ed il controllo degli atti pubblici. La responsabilit del giornalista verso i cittadini prevale sempre nei confronti di qualsiasi altra. Il giornalista non pu mai subordinarla ad interessi di altri e particolarmente a quelli delleditore, del governo o di altri organismi dello Stato.



In tale contesto, al giornalismo di inchiesta, quale species, deve essere riconosciuta ampia tutela ordinamentale, tale da comportare in relazione ai limiti regolatori, dellattivit di informazione, quale genus, gi individuati dalla giurisprudenza di legittimit, una meno rigorosa e comunque diversa applicazione dellattendibilit della fonte (su cui, tra le altre, Cass. n. 1205/2007), fermi restando i limiti dellinteresse pubblico alla notizia (tra le altre, Cass. n. 7261/2008), e del linguaggio continente, ispirato ad una correttezza formale dellesposizione (sul punto, tra le altre, Cass. n. 2271/2005); , infatti, evidente che nel giornalismo di inchiesta, viene meno lesigenza di valutare lattendibilit e la veridicit della provenienza della notizia, dovendosi ispirare il giornalista, nellattingere direttamente linformazione, principalmente ai criteri etici e deontologici della sua attivit professionale, quali tra laltro menzionati nellordinamento ex lege n. 69/63 e nella soprarichiamata Carta dei doveri (con particolare riferimento alla Premessa).



Ne consegue che detta modalit di fare informazione non comporta violazione dellonore e del prestigio di soggetti giuridici, con relativo discredito sociale, qualora ricorrano: loggettivo interesse a rendere consapevole lopinione pubblica di fatti ed avvenimenti socialmente rilevanti; luso di un linguaggio non offensivo e la non violazione di correttezza professionale.

Inoltre, il giornalismo di inchiesta da ritenersi legittimamente esercitato ove, oltre a rispettare la persona e la sua dignit, non ne leda la riservatezza per quanto in generale statuito dalle regole deontologiche in tema di trattamento dei dati personali nellesercizio dellattivit giornalistica (ai sensi dellart. 25 della legge 31 dicembre 1996, n. 675; dellart. 20 D.lgs. n. 467/2001 e dellart. 12 del D.lgs. n. 196/2003).



Viene dunque in evidenza un complessivo quadro disciplinare che rende lattivit di informazione chiaramente prevalente rispetto ai diritti personali della reputazione e della riservatezza, nel senso che questi ultimi, solo ove sussistano determinati presupposti, ne configurano un limite.



In particolare, da considerare in proposito che, pur in presenza della rilevanza costituzionale della tutela della persona e della sua riservatezza, con specifico riferimento allart. 15 Cost., detta prevalenza del fondamentale e insopprimibile diritto allinformazione si evince da un duplice ordine di considerazioni:



a) innanzitutto lart. 1, 2 comma, Cost., nellaffermare che la sovranit appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione, presuppone quale imprescindibile condizione per un pieno, legittimo e corretto esercizio di detta sovranit che la stessa si realizzi mediante tutti gli strumenti democratici (art. 1, 1 comma, Cost.) a tal fine predisposti dallordinamento, tra cui un posto e una funzione preminenti spettano allattivit di informazione in questione (e quindi a maggior ragione, per quanto esposto); vale a dire che intanto il popolo pu ritenersi costituzionalmente sovrano (nel senso rigorosamente tecnico-giuridico di tale termine) in quanto venga, al fine di un compiuto e incondizionato formarsi dellopinione pubblica, senza limitazioni e restrizioni di alcun genere, pienamente informato di tutti i fatti, eventi e accadimenti valutabili come di interesse pubblico.



b) Inoltre, non pu non sottovalutarsi che lo stesso legislatore ordinario, sulla base dellampia normativa sopra richiamata, ha ricondotto reputazione e privacy nellalveo delle eccezioni rispetto al generale principio della tutela dellinformazione; tantՏ vero che in proposito, nello stesso Codice deontologico dei giornalisti (relativo al trattamento dei dati personali) allart. 6 si legge testualmente che la divulgazione di notizie di rilevante interesse pubblico o sociale non contrasta con il rispetto della sfera privata quando linformazione, anche dettagliata, sia indispensabile in ragione delloriginalit del fatto o della relativa descrizione dei modi particolari in cui avvenuto, nonch della qualificazione dei protagonisti. La sfera privata delle persone note o che esercitano funzioni pubbliche deve essere rispettata se le notizie o i dati non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica. Commenti o opinioni del giornalista appartengono alla libert di informazione nonch alla libert di parola e di pensiero costituzionalmente garantita a tutti; come anche deve ricordarsi che con Risoluzione dellassemblea n. 1003 del 1 luglio 1993, relativa alletica del giornalismo, il Consiglio dEuropa ha, tra laltro, affermato che i mezzi di comunicazione sociale assumono, nei confronti dei cittadini e della societ, una responsabilit morale che deve essere sottolineata, segnatamente in un momento in cui linformazione e la comunicazione rivestono una grande importanza sia per lo sviluppo della personalit dei cittadini, sia per levoluzione della societ e della vita democratica.



La sentenza impugnata ha correttamente applicato i suesposti principi, pur non enunciandoli del tutto esplicitamente.



Ha, infatti, con sufficiente e logica motivazione, in riforma della decisione di primo grado, affermato la non diffamatoriet dellarticolo in questione (pubblicato il 19-9-1998), sostenendo, in generale, che: perch sussista la scriminante del diritto di cronaca, necessario che sussistano i seguenti requisiti: la verit della notizia riportata; linteresse che i fatti riportati rivestano per lopinione pubblica; la correttezza dellesposizione di tali fatti, secondo il principio della continenza, e, con specifico riferimento al caso di specie, sulla base di un compiuto esame dello risultanze processuali (tra cui la consulenza di legittimit, che la societ appellata, sia in primo grado che nel presente giudizio, mai ha contestato che il campione analizzato fosse effettivamente t... non pu dubitarsi della veridicit della notizia riportata sul giornale... neppure, poi, pu dubitarsi che la notizia rivestisse un grande interesse per lopinione pubblica, coinvolgendo la stessa il bene primario della salute e dei mezzi a disposizione per adeguatamente presidiarla, tra i quali rivestono un ruolo preminente le analisi di laboratorio; per poi aggiungere che non pu essere, al riguardo, condiviso lassunto dellappellante secondo il quale i giornalisti avrebbero fraudolentemente predisposto una trappola, al solo fine di fare un scoop giornalistico.

Appare infatti evidente che lintento era esclusivamente quello di verificare il grado di attendibilit dei risultati delle analisi di laboratorio, che certamente risulta gravemente compromessa quando il t, sostanza di natura vegetale, viene confusa con lurina, sostanza di natura organica umana.



Inoltre, riguardo al requisito della continenza, anchesso rientrante nella valutazione discrezionale del giudice del merito, la Corte territoriale ha ritenuto che larticolo in questione risulta redatto in forme espressive corrette e conferenti rispetto a ci che veniva narrato, senza eccessi e senza espressioni ultronee o gratuitamente infamanti nei confronti dellappellata, con ci dando ulteriormente conto della propria decisione.



Deve aggiungersi, con particolare riferimento ai primi due motivi del ricorso, che priva di pregio la censura secondo cui nella vicenda in esame si tratta di affermazioni consapevolmente false, frutto di un evidente dolo contrattuale con artifici e menzogne che hanno avuto una decisiva influenza causale sul consenso del Laboratorio T.: da quanto emerge dallo svolgimento delle vicenda, per come esposta dalla Corte di merito, non sussiste per nulla detto comportamento doloso poich i giornalisti si sono limitati a far analizzare dei campioni di t, senza artifizi, per poi denunciare, nellambito della loro attivit professionale di inchiesta (connessa allinsopprimibile e fondamentale diritto allinformazione) il deprecabile risultato delle analisi svolte, attestanti trattarsi di un liquido organico (e non di una bevanda come nella realt) in virt di un errore del Laboratorio (non provocato quindi dai giornalisti mediante dolo).



Inoltre, rientra nel legittimo esercizio del diritto di cronaca, definire scandalosi e sconcertanti i risultati dellinchiesta svolta, finalizzata a correttamente e compiutamente informare la pubblica opinione sul livello di professionalit dei laboratori di analisi nella Capitale, tra laltro, come detto, mediante luso di un linguaggio ritenuto in sede di merito non sconveniente ed oltraggioso ma in linea con i fatti narrati.



In definitiva, i giornalisti si sono limitati ad accertare fatti, agendo autonomamente mediante lo svolgimento di uninchiesta, per poi renderne edotta la collettivit mediante articoli su un quotidiano romano.

Infine, non meritevole di accoglimento la terza e ultima censura: ferma restando, come gi esposto, la sufficienza, coerenza e logicit della motivazione (svolta anche in virt dellesame dei dati peritali), preclusa, nella presente sede di legittimit, ogni ulteriore valutazione della consulenza di ufficio, per come prospettato in ricorso.



Deve ribadirsi in proposito quanto gi statuito da questa Corte, secondo cui la valutazione delle indagini svolte dal consulente di ufficio un accertamento di fatto, demandato al giudice di merito ed incensurabile in cassazione se sorretto da motivazione adeguata e sufficiente, come nel caso esame; ne consegue che eventuali errori del consulente tecnico di cui si sia avvalso il giudice sono suscettibili di esame in sede di legittimit unicamente sotto il profilo del vizio di motivazione della sentenza che li recepisce, quando siano riscontrabili carenze e deficienze diagnostiche o affermazioni scientificamente errate, e non gi quando si prospettino semplici difformit tra la valutazione del consulente e la valutazione della parte.



Ancora, quando sia denunciato, con il ricorso per cassazione, un vizio di motivazione della sentenza, cos come dedotto con la censura in esame, sotto il profilo dellomessa valutazione di fatti, circostanze, rilievi mossi alle risultanze di ordine tecnico ed al procedimento tecnico seguito dal c.t.u., necessario che il ricorrente non si limiti a censure apodittiche di erroneit o di inadeguatezza della motivazione, o anche di omesso approfondimento di determinati temi di indagine, ma precisi e specifichi, sia pure in maniera sintetica, le risultanze e gli elementi di causa dei quali lamenta la mancata od insufficiente valutazione, evidenziando, in particolare, le eventuali controdeduzioni alla consulenza dufficio che assume non essere state prese in considerazione, ovvero gli eventuali mezzi di prova contrari non ammessi, per consentire al giudice di legittimit di esercitare il controllo sulla decisivit degli stessi, che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, deve poter essere effettuato sulla sola base delle deduzioni contenute in tale atto (in proposito, tra le altre, Cass. nn. 4254/2009 e 8383/2009).



Il ricorrente con detto terzo motivo si limita a generiche e non pertinenti critiche (nel senso sopra prospettato) in punto di valutazione delle risultanze peritali, con relativa deduzione di un inesistente vizio motivazionale.

 Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, a favore della sola resistente Editrice R..




P.Q.M.





La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese de la presente fase che liquida in complessivi Euro 2.700,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre spese generali ed accessorie come per legge.


 

(Testo non ufficiale)

(Ndr: Ripreso dal sito Gadit.it)