Sarebbe la prima volta. Un giudice dell’Ohio la settimana scorsa ha stabilito che possono essere prodotte come prove giudiziarie le evidenze derivanti dai dati tracciati dal dispositivo elettronico impiantato a supporto della regolare contrazione del muscolo cardiaco.

Il convenuto è accusato di aver originato un incendio doloso che ha causato danni per 400.000 USD e di frode assicurativa. I fatti risalgono ad una notte del settembre 2016: il convenuto ha sostenuto di essere stato sorpreso nel sonno dalle fiamme originatesi in casa sua, di aver preparato in fretta e furia un bagaglio, di aver rotto la finestra ed aver portato in salvo sé stesso ed altri pesanti beni preziosi.

Una versione che, fin da subito, non ha convinto gli investigatori della polizia locale che hanno definito tale ricostruzione “incompatibile” con le prove raccolte sulla scena. Dubbi tali da indurli a richiedere – ed ottenere – un mandato di perquisizione sui dati elettromedicali relativi al suo pacemaker (frequenza cardiaca prima e dopo l’ora dei fatti, in particolare). I dati sono stati successivamente analizzati da un cardiologo che ha qualificato come altamente improbabile che i tracciati rilevati siano compatibili con un’attività fisica che avrebbe comportato corsa, salti e sollevamento di pesi.

Il legale dell’imputato ha provato a sostenere che sia fondamentalmente ingiusto poter perquisire e sequestrare dati relativi alla malattia di una persona, specie relativamente all’interno del suo corpo: “il governo non dovrebbe poter acquisire e utilizzare tali dati per incriminare una persona”.

Il vice procuratore ha risposto che la polizia ha da sempre la possibilità di indagare ed utilizzare come prove le cartelle cliniche e, addirittura, campioni biologici relativi a sospetti o accusati (specie campioni ematici).

Ancor più tranchant il giudice: “ci sono molte altre informazioni caratterizzanti l’interno del mio corpo che preferirei mantenere riservate piuttosto che il mio battito cardiaco. Non mi sembra una questione così importante”.

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