Alcuni documenti provenienti da Facebook, di cui The Guardian è entrato in possesso, chiariscono quale sia la portata attuale dei fenomeni di ricatto e vendetta a sfondo sessuale perpetrati sul social network di Menlo Park.

I moderatori di Facebook – secondo i documenti in questione – avrebbero segnalato nel solo gennaio 2017 oltre 51.000 casi potenziali di revenge porn e oltre 2.000 di sextortion.

Un breve inciso per chi non avesse confidenza con la nomenclatura dei due fenomeni.

Per revenge porn si intende la pubblicazione per finalità di vendetta o nocumento di file media (foto o video) privati di persone che espongono le proprie nudità o sono intente in atti sessualmente espliciti. Il più delle volte, trattasi di immagini originariamente inviate dalle stesse persone ritratte ai propri compagni o spasimanti; poi qualcosa nel rapporto di rompe e la ritorsione (consistente nell’esposizione alla pubblica gogna virtuale) è a portata di un click.

Gli atti di sextortion hanno ad oggetto i medesimi contenuti privati ed espliciti, con la sensibile variante della minaccia di pubblicazione a fini estorsivi. Nella ipotesi penalmente più rilevante, le immagini sono rubate da un cybercriminale tramite violazione di una cloud informatica o altre forme di illecita intrusione in domicilio informatico; il ladro – dopo aver dimostrato alla vittima di esserne entrato in possesso – le chiede una somma di denaro affinché i file non siano divulgati in rete o inviati ad amici o parenti. In alcuni casi la vittima è, invece, semplicemente indotta ad inviare immagini compromettenti ad un ammiratore (adescatore) che solo in un secondo momento rivelerà le sue rivendicazioni economiche (leggi qui un caso davvero eclatante). Infine, vi sono episodi di sextortion in cui l’elemento soggettivo è solo la libido e la richiesta di riscatto ha per oggetto il “solo” invio di ulteriori immagini esplicite, sempre sotto minaccia di pubblicazione di quelle già in possesso del ricattatore.

Sono fenomeni in continua espansione e l’impatto sulla vita delle vittime è potenzialmente devastante.

I moderatori di Facebook sono chiamati ad un’opera difficilissima di interpretazione: ci sono migliaia di post ogni giorno che rappresentano una zona grigia in cui è davvero arduo distinguere dove finisca la libertà d’espressione e dove inizi la lesione della sfera privata altrui. Una sfida davvero complicata per moderatori che devono già districarsi in tema di fake news, post che potrebbero rivelare simpatie per il terrorismo, gestione dei contenuti violenti. E c’è un peso non indifferente sulle spalle del management di Facebook chiamato ad emettere – continue e sempre più accurate – istruzioni e linee guida interne per non lasciare alla soggettività dei propri moderatori l’adozione del corretto metro di giudizio su cosa il mondo intero possa o non possa postare.

Leggi qui la storia intera su The Guardian