Le tre "C" della conoscenza

di
Silvia Attanasio

Viviamo in una società basata sull'informazione e la conoscenza. Questi elementi sono divenuti il fattore critico di successo di ogni processo produttivo, così come lo sono stati il capitale e l'energia durante il periodo della rivoluzione industriale. Ma le nostre organizzazioni si sono adeguate a questo cambiamento?

Le risorse di maggior importanza e valore sono caratterizzate dall'intangibilità: idee, expertise, competenze, capacità di innovare, programmi di ricerca, marchi, brevetti. Tutti questi beni hanno la stessa paternità: la risorsa umana, l'asset fondamentale di ogni impresa, la leva per creare valore.

In un'azienda che si basa sulla conoscenza, l'elemento umano è ormai fondamentale. Le gerarchie aziendali, che vincolavano la circolazione dell'informazione su canali di comunicazione definiti, verso l'alto o verso il basso, si sono attenuate. Hanno trovato spazio nuove strutture organizzative, più adatte a supportare la circolazione trasversale delle informazioni e a migliorare l'integrazione di tali flussi nell'ambito dei processi produttivi.

Un'impresa richiede oggi un numero proporzionalmente maggiore di specialisti, lavoratori che potremmo definire "intelligenti", dotati di un'ampia visione dei processi di business, dell'organizzazione e del mercato e godono di autonomia organizzativa nel lavoro che svolgono, cui corrisponde una responsabilizzazione sui risultati conseguiti. Queste persone, infatti, non sono più collocate esclusivamente al vertice aziendale, ma anche nella gestione delle operations: è cresciuta la "fetta" dei cosiddetti lavoratori della conoscenza (knowledge worker).

CONOSCENZA E VITA AZIENDALE

Rispetto al passato, il rapporto tra lavoratore e conoscenza è stato modificato in modo sostanziale dalle nuove opportunità offerte dal progresso tecnologico. Il lavoratore manuale non aveva possibilità di interagire con la conoscenza aziendale in maniera attiva, di modificarla, di accrescerla o di acquisirla per se stesso: egli non poteva che imparare a convivere con essa.

Nell'economia della conoscenza questa posizione è molto differente: le tecnologie dell'informazione hanno trasformato lo scenario competitivo tradizionale poiché hanno consentito di ripensare in modo sostanziale le logiche di diffusione della conoscenza. Basti pensare che la quasi totalità dei lavoratori oggi in banca è dotato di un personal computer e ha a portata di mano (o quasi) molti strumenti per accedere alla conoscenza aziendale, ma anche per aumentare il suo personale bagaglio di know-how e competenze.

Non dimentichiamo che il sapere è sempre stato un elemento di grande importanza per le aziende, ma è il progresso tecnologico che negli ultimi anni ne ha "imposto" la gestione sistematica fra le priorità aziendali: grazie alla tecnologia, alla diffusione della tecnologia, conoscenze e informazioni possono essere rapidamente catturate e trasmesse e, quindi, facilmente condivise. Sono emerse nuove forme di accesso alla conoacenza, sia attraverso la creazione di basi di dati comuni cui è possibile avere accesso telematico, sia attraverso la ridefinizione dei flussi di comunicazione all'interno dell'organizzazione. Si sono ridotti i costi di accesso al sapere, almeno quelli logistici; sono aumentate la velocità di acquisizione delle informazioni e le possibilità di loro diffusione e replicazione; si è allargata sensibilmente la scala del mercato della conoscenza; si è moltiplicato lo spazio per nuove specializzazioni. La tecnologia ha reso possibile il passaggio da un'economia a intelligenza accentrata a un'economia a intelligenza distribuita, che si trova alla base del lavoro dei knowledge worker. Essa ha assunto anche il compito di supportare lo scambio di conoscenze tra i lavoratori: il knowledge incorporato nella macchina viene ampliato e valorizzato tanto più frequenti e intense sono l'interazione del lavoratore con la macchina stessa e la comunicazione tra le persone attraverso lo strumento tecnologico.

CAMBIARE LA CULTURA

Un nuovo importante passo ci attende per portare a compimento questa rivoluzione: oggi i lavoratori accedono alla conoscenza della banca e la scambiano attraverso gli strumenti delle tecnologie delI'informazione e della comunicazione. Un'interazione senz'altro nuova, ma ancora migliorabile. L'obiettivo cui dobbiamo tendere è l'accrescimento della base di conoscenza aziendale da parte del lavoratore, mettendolo nelle condizioni di creare nuovo sapere e di incrementare il patrimonio dell'organizzazione.

Questa sfida si gioca su un tavolo più difficile di quello tecnologico: si tratta di un rilevante cambiamento di mentalità, di un paradigma culturale nuovo, in cui il lavoratore deve sentirsi incentivato a mettere a disposizione dell'azienda il suo sapere "tacito". Non ci si può aspettare che questo avvenga naturalmente: sapere più degli altri è tradizionalmente fonte di potere all'interno dell'azienda e, nella visione comune, questa posizione di privilegio può essere conservata solamente mantenendo le conoscenze per sé. L'organizzazione deve agire sulle leve psicologiche e motivazionali delle persone per incentivarle a trasferire il proprio sapere tacito.

A nulla valgono propositi generalizzati o comportamenti imposti: la collaborazione e il trasferimento di conoscenza avvengono efficacemente solo quando gli individui cooperano volontariamente. Lo sforzo organizzativo è ingente, ma indispensabile per ottenere i benefici che ci si attende dalla gestione sistematica del knowledge.

La tecnologia- e questo è un caveat che non possiamo trascurare - va comunque considerata esclusivamente come un fattore abilitante della gestione della conoscenza, della sua creazione, condivisione e comunicazione. La gestione del knowledge è un'attività dai forti impatti strategici: esiste la necessità di individuare un collegamento funzionale tra strategia aziendale e gestione della conoscenza, bisogna cioè delineare una knowledge strategy per non rischiare di gestire la conoscenza fine a se stessa, ma per massimizzare il patrimonio di conoscenza propedeutico al raggiungimento degli obiettivi aziendali di lungo termine. Gestire la conoscenza significa gestire tutto ciò che è informazione finalizzata all'azione.

Gli obiettivi che ciascuna banca si propone di perseguire determinano le scelte organizzative da intraprendere e, in via successiva, i sistemi informativi adeguati a supportare tali intenti. La progettazione organizzativa assume la funzione di fissare i meccanismi operativi per la creazione di nuova conoscenza, di sviluppare una cultura di condivisione e collaborazione e di pilotare i flussi informativi nella direzione degli obiettivi esplicitati dalla strategia aziendale. La tecnologia costituisce un fondamentale supporto all'attuazione dei propositi organizzativi. Sarebbe perciò pericoloso lasciarsi guidare dagli strumenti e dai concetti dell'lnformation Management: al contrario, il mezzo tecnologico deve essere adoperato in maniera strumentale ai propositi organizzativi, potendo esso assumere una valenza profondamente diversa a seconda del contesto organizzativo e sociale in cui è inserito.

Nuovi strumenti, a volte anche di sapore fantascientifico, nuovi approcci, la nascita dell'economia della conoscenza: tutto questo non ci deve far temere di prescindere dalle molte abitudini di gestione della conoscenza già radicate nel settore bancario. Al contrario, introducendo una strategia di Knowledge Management, si possono fondere le tradizionali logiche di elaborazione e archiviazione delle informazioni dell'azienda con nuovi strumenti che consentono il coordinamento e la cooperazione fra le persone, che sono ormai la base delle nostre aziende.

(Ndr: ripreso dalla rivista dell'A.B.I. "Bancaforte" di gennaio-febbraio 2004)