Il comunista più ricco del mondo di Federico Rampini In un centro commerciale alla periferia di Santa Barbara, California, il supermercato K-Mart accoglie i clienti con un profluvio di drappi rossi e prodotti rossi. Non è un omaggio alla bandiera comunista, è il colore degli innamorati per la festa di San Valentino, ma fa lo stesso. Gli orsacchiotti di pelouche rossi, gli slip-boxer da regalare con i cuoricini stampati, perfino i cartoncini di auguri esibiscono una sola provenienza: made in China. Nell'ipermercato a fianco, lo hard-discount Costco, un televisore con schermo gigante è in offerta speciale a 229 dollari, un apparecchio Dvd si porta a casa per 99 dollari. Le marche sono Philips, olandese, e Sony, giapponese, ma l'Olanda e il Giappone c'entrano poco: made in China tutt'e due. Se si va a fare la spesa da Wal-Mart, il re della grande distribuzione americana, i prezzi stracciati hanno una sola spiegazione, l'80 per cento dei prodotti viene dalla Cina. A 9.960 km di distanza da Santa Barbara vive Ma Yun, detto anche Jack Ma. Su di lui la travolgente avanzata dei prodotti cinesi tra i consumatori occidentali ha un effetto particolare. Seduto davanti al suo computer a Hangzhou, città costiera vicina a Shanghai, Ma Yun sta incassando 100.000 dollari di profitto netto ogni giorno, domeniche incluse. Aveva 34 anni nel 1999 quando inventò Alibaba.com, un sito che oggi fa tremare Ebay, Yahoo, Amazon: è il luogo virtuale dove sette milioni di importatori da duecento paesi del mondo "incontrano" quotidianamente due milioni di imprese cinesi e fanno affari con loro, per un modesto pedaggio di 5.000 dollari a testa all'anno. Su Alibaba.com un commerciante italiano o spagnolo può confrontare e mettere in competizione fra loro tutti i produttori di lavastoviglie "made in China", o di pentolame, o di jeans, poi selezionare il suo preferito e concludere l'acquisto senza bisogno di affrontare costose trasferte intercontinentali. C'é persino un flusso di imprese occidentáli che delocalizzano intere produzioni in Cina attraverso Alibaba. Per questo a 40 anni appena compiuti il fondatore di Alibaba è forse il comunista più ricco del mondo (Ma Yun preferirebbe non essere definito comunista, né ricco). Lo chiamano il "padre di Internet in Cina", e non è poco per una nazione dove il numero di navigatori online -134 milioni - sta per superare quello degli Stati Uniti. TonyBlair lo va a trovare quando è in visita ufficiale a Shanghai. La tv di Stato di Pechino Cctv, inaugurando un nuovo tipo di culto della personalità (deiricchi), lo ha incoronato "celebrità economica dell'anno". Il World Economic Forum di Davos lo segnala come uno dei leader mondiali del futuro. E' il primo imprenditore cinese a cui la rivista americana Forbes ha dedicato la copertina. A sei anni dalla sua creazione Alibaba ha duemila dipendenti, età media 26 anni, filiali nella Silicon Valley, Londra, Tokyo e America latina. Nel suo azionariato sono entrati i colossi della finanza intemazionale Goldman Sachs, Fidelity, Softbank, nel consiglio d'amministrazione siede l'ex direttore generale del Wto, Peter Sutherland. Una rivincita per questo "brutto anatroccolo" che si è fatto dal nulla, e con un curriculum più scadente perfino dello studente fuoricorso Bill Gates. In un Paese che idolatra il merito scolastico Ma Yun si porta addosso la macchia infamante di tre bocciature all'esame di accesso all'università: con la conseguenza di dover ripiegare sul magistero, facoltà di serie B che forma solo insegnanti. Senza aiuti dallo Stato "Non ho avuto aiuti dalla famiglia né dal governo - dice Ma Yun - i miei genitori sono semianalfabeti, mio padre è andato in pensione con un salario di 250 yuan (25 euro) al mese come ogni operaio ai tempi di Mao. Ero un pessimo studente, fuorché in inglese. Avevo 13 anni quando la Cina si è aperta al mondo e a Hangzhou sono arrivati i primi turisti stranieri. Andavo a offrirmi gratis come guida turistica pur di praticare l'inglese". È mentre fa l'insegnante di lingua all'università - primo stipendio 11 euro al mese - che la sua vita ha una svolta. "Come in un film di Hollywood" dice lui, e non esagera (Ma Yun non esagera mai). Nel '95 una jointventure tra un'impresa cinese e una americana che ha l'appalto per costruire l'autostrada Hangzhou-Fujan lo ingaggia come interprete e lo manda in missione negli Stati Uniti. I soci cinesi e americani litigano e succede l'inverosimile: l'interprete Ma viene rapito, tenuto sotto sequestro, minacciato con una pistola. Liberato fortunosamente, rimane senza bagagli e può rientrare in Cina solo dopo aver vinto 600 dollari a un casinò di Las Vegas. Prima di tornare a casa visita un amico a Seattle che lo introduce al nuovo fenomeno di Internet, ancora sconosciuto in Cina ("avevo perfino paura di sfiorare la tastiera del suo computer, pensavo: chissà cosa costa, se lo rompo sono rovinato"). È lì che Ma ha la sua illuminazione: "Chiedo al mio amico di fare una ricerca su Internet alla voce birra e trovo solo marche americane o tedesche. Ho pensato che dovevo usare Internet per aiutare le imprese cinesi a farsi conoscere nel mondo. Mi sono dimesso dall'università, ho invitato 25 amici a casa mia e ho annunciato che avrei creato una dot.com. All'inizio molti mi hanno scambiato per un imbroglione. Non ho mai capito nulla di informatica, né di management. Però ho capito qualcosa prima degli altri". Partito con 50.000 dollari di capitale - i risparmi personali dei suoi 25 amici - oggi Alibaba ha tre siti per il commercio elettronico. In Cina ha sbaragliato Ebay. Con un tasso di crescita del 100 per cento all'anno, secondo ogni probabilità in tre anni sarà il numero uno mondiale del commercio elettronico. La voglia di non apparire Di quotarsi in Borsa Ma Yun non ha fretta. La Borsa chiede pubblicità. Nella mappa del nuovo potere cinese Ma Yun, se potesse, vorrebbe essere invisibile. "Sono un buon amico del mio governo- dice - ma non ho mai fatto affari con loro. Io ho scelto di avere come clienti le piccole imprese. La fama mi preoccupa, anche per questo rimango a Hangzhou, lontano dal potere di Pechino. Ho visto troppa gente salire in cielo e poi precipitare". Il fondatore di Alibaba mescola un linguaggio manageriale americano e una morale confuciana. Niente Ferrari in garage. Niente flirt con le top model nelle discoteche di moda a Shanghai. "Ho moglie, un figlio di 13 anni, tre cani, i weekend li passo a casa con gli amici a giocare a carte e bere tè. Non vado nei locali di karaoke perché ho paura di essere riconosciuto". Nel "secolo cinese", la nazione più popolosa della terra diventa una patria di super-ricchi. Quest'anno secondo Euromoney i cento cinesi più facoltosi hanno superato un patrimonio (ufficiale) di 30 miliardi di euro. Al vertice della piramide ci sono altri enfant prodige, alcuni perfino più giovani di Ma Yun. Ha 35 anni Huang Guangyu (un miliardo di euro il patrimonio personale dichiarato) l'ex venditore ambulante del Guangdong che ha fondato la più grande catena di negozi di elettrodomestici, la GoMe: 40.000 dipendenti in 150 supermercati. Ha 31 anni e 900 milioni di euro Chen Tianqiao, fondatore della società di giochi e lotterie online Shanda. Diverso è il caso di LarryRong Zhijian (800 milioni di euro) il potente magnate del gruppo finanziario Citic il cui impero si estende dall'aviazione alle telecom, dall'edilizia alle autostrade. Lui ha 62 anni e soprattutto è figlio dell'ex vicepresidente della Cina Rong Yiren, a sua volta l'erede di una dinastia di industriali tessili che nel 1949 si convertì al comunismo e cedette il suo patrimonio allo Stato. Il solo fatto che questi nomi circolino sui giornali e sulle copertine dei rotocalchi è la prova di quanto sia cambiata la Cina. Le classifiche dei miliardari in yuan sono diventate popolari. Ogni magazine ad alta tiratura di Pechino e Shanghai sforna la sua hit-parade del denaro, eccitando la curiosità del pubblico. I super-ricchi sono solo la punta dell'iceberg. Sotto di loro c'è la realtà di un paese che già nel 2001 ha censito più di due milioni di capitalisti privati. Gli studiosi ufficiali cominciano a occuparsi apertamente, con il beneplacito del governo di un tema che era un tabù: qual è l'influenza politica dei capitalisti? Quanto pesano i "poteri forti" nella nuova Cina? Bai Shazhou, che ha diretto il centro ricerche della Università di studi politici e legali della Cina, divide l'universo del neocapitalismo cinese in tre categorie. Al primo posto mette i "capitalisti di potere ", stretti alleati dei vertici politici con cui si scambiano benefici reciproci. L'alleanza è agevolata dal fatto che tanti familiari dei politici si sono lanciati nel business, profittando del loro guanxi: le relazioni altolocate. Da quando l'ex leader Jiang Zemin aprì ufficialmente ai "padroni" le iscrizioni al partito comunista, il 30 per cento degli imprenditori ha preso la tessera: è una percentuale molto più alta dell'adesione al partito nella popolazione media (solo il 5 per cento dei cinesi ha la tessera comunista). I dividendi per questa categoria di nuovi ricchi legati alla politica sono arrivati presto, e generosi. Il 25 per cento dei capitalisti ha incarichi pubblici, e il 17 per cento è stato eletto al Congresso. Non stupisce il risultato di un recente sondaggio fra i 600 più importanti imprenditori privati: una straripante maggioranza di consensi verso il monopolio di potere del partito unico. Una seconda categoria è quella che Bai definisce "i sordomuti". Sono quelli come Ma Yun, il fondatore di Alibaba, e sono probabilmente la maggioranza. Adottano un profilo pubblico basso, cercano di seguire strade che non incrocino quelle della nomenklatura politica. "È raro - dice lo studioso - sentirli criticare le politiche del governo, o denunciare la corruzione, anche se sicuramente avrebbero delle lamentele da esprimere". Loro ricordano l'antico proverbio cinese: "Un uomo ricco teme la fama come il maiale teme il proprio grasso". Ma Yun sa che la grande ricchezza nella Cina post-maoista è troppo recente, spesso ha origini sospette, e quindi le manca quella legittimità sociale che ha in America. Infine c'è la terza categoria che Bai Shazhou definisce "gli sfidanti". È una piccola ma interessante minoranza di capitalisti ribelli che osano contestare il sistema. Alcuni di loro ricordano di essere stati giovani, e a Piazza Tienanmen, nel 1989. Altri sono fedeli alle loro origini proletarie e di questi il più famoso è Sun Dawu, l'ex agricoltore che ha fondato una grande impresa alimentare nella provincia dello Hubei. L'economista Hu Xingdou lo ha definito "la coscienza del capitalismo cinese". Sun Dawu ha osato denunciare i capipartito che gli chiedevano tangenti. Si è spinto fino a tenere una conferenza all'università di Pechino, nel marzo 2003, in cui chiese al governo che i contadini "siano trattati come cittadini". Fu messo in carcere ma la sua grinta ha avuto la meglio: il presidente Hu Jintao è intervenuto per farlo liberare. La culla dei mercanti Un fenomeno nuovo sta crescendo proprio dalle parti di Ma Yun, vicino alla sua Hangzhou e in tutta la provincia circostante dello Zhejiang che già ai tempi di Marco Polo era la culla del capitalismo mercantile cinese. Nel 2002 un imprenditore locale, Yu Tingshun, ha sfidato il segretario del partito comunista all'elezione di sindaco del villaggio di Huaxi. In campagna elettorale ha sfoderato una promessa: avrebbe costruito la nuova rete fognaria a proprie spese. Un trionfo. Il suo esempio è stato contagioso. Yang Baowei nel villaggio Shangyang è stato eletto a furor di popolo dopo aver promesso di pagare di tasca sua le tasse dei contadini. Da allora procede la scalata dei piccoli capitalisti alle amministrazioni locali. Oggi nello ZheJiang il 65 per cento dei capivillaggio sono imprenditori. È un fenomeno diverso rispetto agli industriali alleati-clienti della nomenklatura. Questa è un'Opa amichevole dei capitalisti sul potere politico, lanciata partendo dalla periferia. Tra le novità del "secolo cinese" c'è l'ascesa di questa classe capitalistica. È l'altra faccia del veloce aumento delle diseguaglianze sociali. Nel 1978, nella Cina che usciva da decenni di radicalismo maoista, il 20 per cento delle famiglie più benestanti guadagnava il quadruplo dei più poveri. Oggi il 20 per cento dei più ricchi guadagna 15 volte il reddito dell'ultimo gradino della piramide. Nei modelli di comportamento, negli stili di vita, nelle gerarchie sociali è in atto un terremoto. Saranno sempre in meno a condividere la prudenza confuciana di Ma Yun, la sua vita ritirata, le sue partite a carte con gli amici. Louis Vuitton ha visto le sue vendite triplicare in tre anni, la Bentley è l'auto più di moda nei sondaggi tra l'elite, e Cartier inaugura sette nuovi negozi all'anno. La Cina di Mao mise all'indice i ricchi, in quella di oggi è vietato essere poveri. Il terrore e il denaro le mie due rivoluzioni di Yu Hua Il rapido sviluppo della Cina mi evoca una miriade di sensazioni. Io sono nato nel 1960, nel corso dei miei quarantacinque anni di vita ho sperimentato due epoche completamente diverse. La mia infanzia e la mia giovinezza si sono svolte durante la rivoluzione culturale, un periodo di oppressione e di paura senza precedenti oltre che di povertà e arretratezza. Dopo i miei vent'anni, è iniziata la politica di riforme e di apertura, lo sviluppo ha spiccato il volo, soprattutto a partire dagli anni '90, e, per molti aspetti, la Cina di oggi non è arretrata rispetto all'occidente, e, per altri, l'ha addirittura superato. Credo che in occidente, anche se un uomo vivesse cento armi, difficilmente potrebbe vivere due epoche così diametralmente opposte. Io, invece, in Cina ho vissuto un cambiamento sconvolgente. Per questo oggi i quarantenni cinesi possono avere le memorie di un vecchio centenario. Ricordo che all'inizio del periodo delle riforme, oltre venti anni fa, quando arrivavano i taiwanesi - che noi abbiamo l'abitudine di chiamare compatrioti - a Shanghai, i tassisti chiedevano loro: "Siete venuti a fare un viaggio?"; dieci anni fa, cominciavano a domandare: "Siete venuti a fare investimenti?"; oggi chiedono: "Siete venuti a cercare lavoro?". Un altro esempio è quello dei cinesi che tornano in patria dopo aver studiato all'estero. Negli anni '80 e '90, molti giovani cinesi andavano a studiare in America e in Europa; quando tornavano in Cina dopo aver completato gli studi, venivano accolti con tutti gli onori provocando l'invidia dei loro coetanei. Le università, le istituzioni governative di tutti i livelli, le imprese statali e private aprivano loro le braccia, gli offrivano le migliori condizioni di lavoro e i migliori stipendi. Venivano chiamati i "rientrati da fuori", e per oltre dieci anni sono stati una generazione di favoriti dal cielo. Però, dieci anni dopo, quando una nuova generazione di studenti più giovani è rientrata, si è trovata davanti una situazione completamente diversa, hanno avuto difficoltà a ottenere le migliori condizioni di lavoro e i migliori stipendi e persino trovare un lavoro è diventato sempre più arduo. Nella Cina di oggi, tanto l'apparato istituzionale che le imprese statali o private, preferiscono assumere giovani che non siano stati a studiare all'estero, non vogliono quelli che sono rientrati. Io credo che la ragione sia che lo sviluppo e i cambiamenti della Cina sono talmente veloci che i giovani che hanno soggiornato per anni all'estero, una volta tornati, non hanno dimestichezza con la situazione attuale del Paese, motivo per cui incontrano difficoltà crescenti sul lavoro. I giovani che non hanno mai lasciato la Cina, invece, hanno vissuto i cambiamenti in prima persona, hanno familiarità con i problemi che il Paese si trova ad affrontare e sono più capaci di risolverli degli studenti ritornati dall'estero. I cambiamenti in Cina sono davvero troppo rapidi. Cose che solo ieri creavano invidia nella gente, oggi sono considerate con indifferenza; cose che ieri erano ignorate, oggi diventano richiestissime. Per questo è difficile raccontare la Cina di oggi in poche righe, quello che posso scrivere rappresenta appena una goccia nell'oceano. E anche sul futuro ci sarebbero ugualmente migliaia di cose da dire, proverò a semplificare. Secondo me, i fattori più importanti a creare difficoltà al progresso della Cina sono due. Dal punto di vista dello sviluppo economico,il primo fattore è la questione energetica Il prezzo del greggio sui mercati internazionali é alto e non accenna a scendere, e nonostante la guerra in Iraq e le tensioni in Medio Oriente, a lungo termine il fattore decisivo a determinare il prezzo del greggio sarà l'emergere della Cina e dell'India; lo sviluppo economico di questi due popolosi paesi potrebbe far crescere per un lungo periodo il prezzo del petrolio. Se il problema della scarsità delle risorse energetiche sarà risolto in modo sicuro e razionale, confido che l'economia cinese potrà mantenere una crescita stabile. L'altro fattore che complica il progresso della Cina è il divario fra ricchi é poveri. Su un medesimo quotidiano posso ritrovarmi a leggere due notizie totalmente opposte: in una pagina trovo la notizia che un ricco ha speso decine di migliaia di yuan per un pasto, in un'altra leggo la storia di una famiglia di disoccupati i cui genitori, non avendo i soldi nemmeno per comprare una banana al figlio che piange per averla, si suicidano per la disperazione gettandosi dalla finestra. Il divario fra ricchi e poveri è giunto al punto di minacciare la stabilità del Paese sul lungo periodo e c'è già chi sostiene che bisogna ridurre la disparità. Ma il divario fra ricchi e poveri non c'è perché ci sono i ricchi, ma perché un numero maggiore di persone versa in povertà. La storia della Cina ha dimostrato che espropriare i ricchi dei loro beni non vuol dire accrescere la ricchezza dei poveri, e anche se si riduce la disparità, ridurla in questo modo è solo una falsità che aumenta il disagio sociale. Pertanto, il più grande problema sociale che la Cina si trova a affrontare oggi, non è la disparità fra ricchi e poveri, ma come migliorare sostanzialmente la qualità della vita dei poveri. Che i ricchi diventino sempre più ricchi non è un male, mentre è senza dubbio un male che i poveri diventino sempre più poveri. Il nostro sguardo non si deve fermare alle disparità, quel che conta è come far sì che i poveri si affranchino dalla povertà, e migliorino le loro condizioni. (Ndr: ripreso da "La domenica di Repubblica" del 13 febbraio 2005) |